Chi scrive ha la fortuna di far parte di una squadra davvero speciale, della quale ciascuno è un tassello fondamentale: dal primo al sedicesimo giocatore, non c’è nessuno che possa essere sostituito. Tutti, dai cinque titolari ai giocatori di rotazione, fino a chi, a turno, è costretto a rimanere in tribuna per infortunio o scelta tecnica.
Questa premessa ha due scopi, non è un semplice paragrafetto di circostanza, un po’ alla volemose bene, viva lo sport, l’importante è partecipare.
Tutt’altro.
Cominciare da questo assunto è l’unico modo per rendere giustizia a un importante aspetto di questa entusiasmante Gara Uno di playoff e, al contempo, essere d’esempio per tutti gli atleti delle giovanili, magari non sempre felici del loro minutaggio, che si interrogano spesso sul senso dei loro sforzi in palestra, se poi questi non vengono immediatamente premiati.
Come diceva qualcuno, il basket è la metafora tridimensionale della vita, e capita di rado, nella vita così come nella pallacanestro, che il nostro ruolo e il senso delle cose appaiano chiari fin da subito, o che i frutti del nostro lavoro maturino da un giorno all’altro.
Ora immaginate.
Immaginate di aver giocato in tutta la stagione meno della metà delle partite, dove per giocato s’intende partire dalla panca e mettere piede in campo una manciata di secondi, un paio di minuti esagerando. Immaginate di aver messo insieme una ventina di minuti sul parquet, mal contati, prendendo sì e no cinque, sei tiri. In tutta la stagione. Da novembre.
Immaginate di essere arrivati ai playoff così, e l’unico bagaglio che vi potete portare dietro sono la fiducia nei vostri mezzi (siete un difensore stratosferico) e un numero di ore incalcolabile passate in palestra, rinunciando a comode serate sul divano di casa, in tuta, con il joystick della Playstation in mano e le palpebre pesanti dopo una giornata di studio.
Fatto? Li avete immaginati questi mesi?
Bene. Adesso, provate a immaginare la vostra reazione quando, alla viglia della partita, il vostro allenatore vi chiama in disparte per dirvi che domenica, Gara Uno di playoff, partirete titolare, con il compito di difendere su uno degli attaccanti avversari più pericolosi.
Siete un uomo in missione.
Ecco quanto successo qualche giorno fa a Stefano Carena, che merita una standing ovation virtuale da parte di tutti i nostri lettori, per non essersi sottratto a quest’arduo compito, e averlo svolto alla perfezione. Quella che avete letto qui sopra è la sua storia.
Ciò non toglie nulla a nessuno dei compagni, né, tanto meno, al resoconto della partita che seguirà, ma è un dettaglio fondamentale per immergersi nelle dinamiche della Promozione, e vivere dall’interno l’atmosfera che si è respirata in quel di Pino Torinese.
Le chiavi della vittoria non sono state – soltanto – le inarrestabili incursioni in area di Borra o la firma di Libeccio sul finale al cardiopalma che ha consumato le coronarie di giocatori e tifosi di cui diremo, ma innanzi tutto, quelle chiavi stanno nella forza di coesione del gruppo e nella straordinaria preparazione tattica per la quale si sono spesi i coach Capolicchio e Rango. Sta nella bravura di ciascuno nel rispondere presente, no matter what.
La partita inizia con una fluidità quasi preoccupante: il tabellone recita 21 a 8 per i tamburi, nella bella cornice del Palazzetto di Via Folis. Chi mastica pallacanestro sa che è pressoché impossibile mantenere un tale livello di concentrazione, e che presto o tardi gli avversari rientreranno.
Come da copione, UBC trova la via del canestro e le soluzioni del Tam Tam si inceppano, costringendoli a vivacchiare sulla linea di galleggiamento, senza poter prendere il largo e lasciare indietro i padroni di casa.
Fortunatamente, l’approccio difensivo dei ragazzi di coach Capolicchio è perfetto: Carena rimane incollato al suo uomo e tutti i suoi compagni, che sia a uomo o a zona, ne seguono l’esempio, impedendo soluzioni facili a UBC.
Tuttavia, secondo e terzo quarto sono una carestia realizzativa che non lascia tranquillo nessuno. Il tandem Casetta-Delvecchio non ha solo le polveri bagnate, pare si sia gettato nella fossa delle Marianne con moschetto e cartucce, e la fluidità offensiva del primo quarto sembra ormai uno sbiadito ricordo.
Così, quando a cinque minuti dalla fine il tabellone segna un +4 avversario, il timore di vedere la partita scivolare via è grande.
Per fortuna, Enrico Borra si ricorda di essere un giocatore fuori categoria, e che nessuno degli avversari è in grado di fermarlo. Perciò, le successive azioni si susseguono in una ripetitività pari soltanto alla loro efficacia: palla in post a Borra e, come diciamo noi a Oxford, Föra di ball (fuori dalle palle ndr).
Dal lato di UBC nessuno sa cosa fare, e il nostro eroe continua la sua mattanza nell’area piccola. Sembra di tornare indietro a ottant’anni fa, e rivedere la divisione Panzer tedesca travolgere la linea Maginot. I granata ricuciono e passano in vantaggio, ma i padroni di casa, guidati da Indorato in stato di grazia (saranno cinque le triple di serata), riescono a smorzare l’inerzia dei tamburi per tre volte di fila.
Al +1 Tam Tam siglato dal solito Borra a meno di un minuto dalla fine, UBC risponde con una tripla pesantissima, costringendo coach Capolicchio a chiamare time out a 55 secondi dalla fine, sotto di due lunghezze.
Sugli spalti nessuno è preoccupato. Tutti sanno chi prenderà la palla e farà canestro.
Come da programma si va dall’altra parte e Borra – braccato dalla difesa più di un rinoceronte bianco durante un safari – riceve, si gira, e appoggia, con la stessa naturalezza con cui si beve un espresso la mattina al bar.
Sul 55 pari, la difesa granata è ancora una volta perfetta e a 26 secondi dalla fine i nostri hanno tra le mani il pallone decisivo. Questa volta Borra non riesce a prenderla, e su un ribaltamento ad alto tasso di rischio, la palla quasi sfugge dalle nostre mani. Il contropiede di UBC sta per involarsi, ma nessuno ha fatto i conti con Lorenzo Libeccio, che in mezzo a due avversari lanciati in corsa riesce a intercettare il pallone, fiondandosi in area per chiudere la partita. Non segna ma subisce fallo, guadagnandosi due tiri liberi a due secondi dalla fine.
Segna il primo. 55 a 56.
Poi, dimostrando una perfetta lucidità tattica, sceglie di sbagliare il secondo, per impedire a UBC di chiamare time out, costringendoli, nella peggiore delle ipotesi, a un tiro disperato dalla loro area. L’esecuzione è perfetta, la palla prende il primo ferro, ma Libeccio si proietta in avanti troppo presto, facendo invasione e regalando il tempo a UBC per riorganizzarsi, chiamando time out per rimettere in gioco il pallone nella propria metà campo con due secondi a disposizione.
Andando verso la panchina, Libeccio è distrutto, consapevole che quell’errore – dovuto all’emozione, non alla traiettoria del pallone o alla scelta tattica perfetta – potrebbe costare Gara Uno ai granata. Ma, si diceva, la coesione. Tutta la panchina gli si stringe attorno, e coach Capolicchio, mantenendo una calma leggendaria, disegna l’ultima azione difensiva.
Sugli spalti, con il fiato sospeso, osserviamo.
UBC rimette la palla in gioco affidandola a Indorato, costretto da Carena a ricevere spalle a canestro, oltre la linea da tre punti. Il play avversario è costretto a palleggiare, girarsi, raccogliere il pallone e tirare. La sirena suona mentre salta per tirare (tiro perciò nullo ndr), ma tutti fanno un sospiro di sollievo vedendo la sfera di cuoio uscire, senza sfiorare il ferro, non lasciando alcun dubbio sul risultato finale.
Gara Uno è del Tam Tam, che vince per 55 a 56.
Vi aspettiamo Domenica 21, ore 20.30, all’Alvaro, per essere parte di questa storia.